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Freddo hackerato

Quando la sicurezza informatica diventa parte della catena del freddo

Di Massimo Moscati, direttore editoriale di PR Planet Refrigeration

Nel mondo della refrigerazione commerciale e industriale, la parola “connessione” è ormai sinonimo di efficienza.

Monitoraggio remoto, manutenzione predittiva, cloud e sensori intelligenti stanno rivoluzionando il modo in cui si progetta, controlla e gestisce un impianto frigorifero. Ma accanto ai vantaggi dell’IoT — Internet of Things — cresce anche una minaccia silenziosa e sottovalutata: la vulnerabilità informatica del freddo.

Un sistema frigorifero moderno è un piccolo ecosistema digitale: controllori, valvole elettroniche, inverter, sensori e gateway comunicano continuamente tra loro e con piattaforme esterne. I dati di temperatura, consumo energetico e stato operativo transitano su reti aziendali o in cloud.

Questa interconnessione, se non protetta adeguatamente, può diventare un punto d’ingresso per attacchi informatici capaci di alterare le impostazioni, bloccare impianti o compromettere intere catene del freddo.

Gli esempi reali non mancano. Negli Stati Uniti, alcuni casi documentati han- no mostrato come intrusioni informatiche in sistemi di supervisione (BMS) abbiano generato malfunzionamenti nei banchi refrigerati di grandi catene retail. In altri episodi, i cyberattacchi miravano ai server centrali delle piattaforme di telecontrollo, con l’obiettivo di estorcere denaro o rubare dati sensibili sulle performance energetiche.

Il rischio, però, non è solo economico: un impianto compromesso può portare alla perdita di prodotti deperibili, a danni reputazionali e perfino a violazioni della sicurezza alimentare o farmaceutica.

Il problema è che la cybersecurity nel settore HVAC&R non è ancora percepita come parte integrante del progetto tecnico.

Molti impianti vengono connessi senza politiche chiare di gestione delle credenziali, aggiornamenti software o segmentazione delle reti. In diversi casi, dispositivi e gateway condividono la stessa rete del punto vendita, senza firewall dedicati.

L’errore nasce da una mentalità ancora troppo meccanica: si tende a considerare la refrigerazione come un impianto fisico, non come un sistema cyber-fisico.

In realtà, il freddo connesso è a tutti gli effetti un’infrastruttura IT. E come tale, richiede procedure di sicurezza, backup, protocolli di autenticazione e un ciclo di manutenzione digitale tanto rigoroso quanto quello termodinamico.

Serve un cambio culturale che coinvolga progettisti, installatori e facility manager, perché la vulnerabilità non risiede solo nel software, ma anche nell’assenza di consapevolezza.

Le grandi aziende iniziano a muoversi: alcuni produttori integrano già sistemi di crittografia e autenticazione a più livelli nei propri controllori; altri sviluppano piattaforme cloud certificate secondo gli standard ISO 27001.

Tuttavia, nella rete delle PMI e delle installazioni più piccole, le difese restano deboli. Gli aggiornamenti firmware sono rari, le password di default vengono spesso mantenute e la formazione sulla sicurezza digitale è quasi assente.

La catena del freddo, oggi, non è fatta solo di compressori e tubazioni, ma anche di pacchetti dati che viaggiano senza barriere tra dispositivi e server remoti.

Un’interruzione, anche temporanea, può compromettere l’intero sistema di conservazione, e con esso la fiducia del cliente finale. Per questo, la cybersecurity deve diventare una nuova frontiera della manutenzione preventiva: controllare i log di accesso, gestire aggiornamenti, segmentare le reti e definire procedure in caso di incidente informatico.

Il freddo del futuro sarà sempre più digitale. Ma la sua efficienza non potrà essere misurata solo in kilowatt o COP: dovrà includere anche la resilienza informatica.

Perché un impianto efficiente che può essere violato con un clic non è un impianto sicuro.

E nella nuova era del freddo connesso, la sicurezza — termica e informatica — dovrà viaggiare alla stessa temperatura.

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